1° Congresso
Nazionale FISS (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica )”
Identità Sessuale: percorsi a confronto”Pisa 11-13 Ottobre 2002
Barbero
G.,
Tamagnone L.
Abbiamo deciso di
utilizzare un caso clinico in quanto, a nostro parere, più si
confaceva all’esigenza di illustrare la complessità delle tematiche
connesse all’identità di genere, nonché la difficoltà di adattare
categorie diagnostiche e prassi terapeutiche alla pratica
quotidiana.
E’ stato nostro
intento cercare di conciliare la prospettiva inerente il ”disturbo
dell’ identità di genere” con una prospettiva più ampia che, al di
là della descrizione, fosse tesa ad una comprensione e ricostruzione
del quadro generale di intenti, modelli e bisogni soggiacenti alle
condotte del soggetto, con il fine di ripercorrerne, per quanto
possibile, i tentativi di individuazione.
Descrizione del
caso
G è un uomo sulla
quarantina, di bell’aspetto che si presenta con una richiesta di
aiuto non esplicita. Appare da subito evidente un certo imbarazzo
nel parlare di sé.
Ciò che in questo
momento riferisce essere causa di malessere è una sensazione di
“confusione”.
Il primo
episodio utilizzato da G per parlare in modo più diretto del motivo
per cui ha chiesto un appuntamento risale alla tarda adolescenza ed
è riferito ad una generica attrazione che ricorda di aver provato in
alcune occasioni verso i “travestiti” incontrati per strada. G era
stato molto incuriosito da questi personaggi, trovandone
estremamente affascinanti l’aspetto e l’ambiguità. Singolarmente,
l’eccitazione sessuale che provava non era riferita ad una fantasia
erotica specifica (per esempio fare l’amore con un travestito)
quanto a questo carattere fascinatorio attribuito alla figura del
“travestito”.
L’interesse per
il travestimento, questa volta praticato attivamente, ritorna in
situazioni di intimità eterosessuale coniugale, per periodi più o
meno lunghi.
Quando tale
attività viene sospesa per rifiuto del partner, G incomincia, in
panni femminili, a cercare per la prima volta partner di sesso
maschile.
A questo punto G
riferisce che il suo “bisogno di vestirsi da donna” è diventato
sempre più impellente e che il motivo che lo ha spinto a prendere
contatto con una figura terapeutica è la crescente difficoltà di
conciliare la vita “vestito da maschio” con quella “vestito da
donna”.
Al secondo
incontro si presenta vestito da donna. Il suo aspetto appare da
subito decisamente caricaturale, come se ogni particolare
dell’aspetto esteriore, della mimica e della gestica, fosse stato
estremizzato.
Da questo momento
in poi, la richiesta di aiuto diviene più labile, mentre il setting
è letteralmente occupato da un nuovo personaggio – Micaela – che
porta, come contenuti preponderanti, i suoi interessi
“femminili”verso l’abbigliamento e dichiara che il suo scopo è
“ottenere l’attenzione di uomini”, capaci di “trattarla come una
donna”.
Le fantasie
sessuali (masturbatorie) di Micaela sono prevalentemente legate
all’eccitazione derivata dal proprio aspetto e dall’abbigliamento,
dai rituali preparatori e dal pensiero di poter suscitare o di aver
suscitato una reazione di interesse sessuale in altre persone.
Al centro delle
proprie fantasie masturbatorie vi è quindi un costante ed esclusivo
autoriferimento, spesso coadiuvato, sul piano reale, dall’utilizzo
degli oggetti-feticcio preferiti e dell’immagine autoriflessa.
Ulteriore fonte di eccitazione è il pensiero di poter avere
relazioni sessuali promiscue; caratteristica di tale ideazione è
l’apparente assenza di criteri di discriminazione dei potenziali
partner.
Nel setting di
consultazione Micaela sembra costruire una scena refrattaria a
tentativi di approfondimento da parte della terapeuta. Non appare
possibile trovare aspetti di Micaela egodistonici o che espressione
di difficoltà. Il racconto dei propri preparativi e rituali è legato
a vissuti di profonda eccitazione. Non c’è spazio per interventi o
domande; la storia di G non ricompare più.
Materiale
testistico, proiettivo e non, somministrato in fase di valutazione,
viene utilizzato in modo da far apparire gli aspetti che Micaela
ritiene più connotanti il proprio personaggio. Appaiono quindi
sempre risposte a contenuto sessuale, autoriferite e fortemente
caricate anche dal punto di vista linguistico e paraverbale.
I contenuti e le
modalità di costruzione della risposta - trattati da soli –
presenterebbero segni di cedimento del pensiero, più attinenti a
modalità di funzionamento psicotico. Alla luce delle informazioni in
nostro possesso è possibile ipotizzare che alcune parti di Micaela
presentassero comunque delle modalità di funzionamento primitive,
caratterizzate da profonda angoscia di frammentazione e difficoltà a
“pensare l’emotività” e ad organizzarla.
La “diagnosi”
Il processo
diagnostico che in qualche modo potesse essere utile a orientare
l’intervento ha presentato notevoli difficoltà pratiche, dovute
anche alle profonde resistenze opposte dal paziente.
Ci sembra utile
rimarcare come, in questo ambito di intervento, la confusione tra
diagnosi ed “etichettamento”, con sfumature moralistiche e
squalificanti rispetto alla richiesta, sia ancora molto presente, in
primo luogo proprio nelle persone che chiedono un consulto.
Tale precisazione
ci è utile per osservare come questi fattori culturali e sociali in
qualche modo colludano con i tentativi, da parte dei pazienti, di
manipolare il setting con l’intenzione di difendersi da un possibile
rifiuto o da una destabilizzazione eccessiva, che può inoltre essere
letta come attacco ad un assetto di personalità che, per quanto
problematico, è, al momento del consulto, il migliore possibile o
addirittura l’unico disponibile.
In questo caso,
tali tematiche erano verbalizzate da Micaela come “paura del
ridicolo” e come difficoltà a “uscire alla luce del giorno”.
Inoltre, un
ulteriore elemento di “resistenza”- o, meglio, fonte di
difficoltà- era dato dall’apparente assenza di passato di Micaela e
dalla necessità di gestire l’ansia trattando in colloquio i propri
oggetti di desiderio soltanto ed esclusivamente in modo “frivolo”,
alla stregua di “argomenti da salotto”.
E’ stato comunque
possibile, attraverso un lungo lavoro di ricostruzione, formulare
un’ipotesi diagnostica descrittiva; il nostro riferimento principale
in questo caso è stato il DSM-IV.
Per il tipo di
condotta sessuale, l’età in cui questa si è presentata, le fonti di
eccitazione, l’oggetto e la meta del desiderio, possiamo ascrivere i
sintomi riportati da G-Micaela ad un feticismo di travestimento con
disforia di genere (F65.1-302.3). La disforia di genere si è
evidenziata man mano nei colloqui di consultazione, fino ad essere
verbalizzata come desiderio di vivere in permanenza come una donna.
Degno di nota è
il fatto che, concordemente con quanto riportato in letteratura, la
richiesta di trattamento sia avvenuta proprio nel momento in cui la
disforia di genere si è fatta evidente.
E’ inoltre
interessante sottolineare che, nel momento della valutazione, le
modalità di relazione presentate da G-Micaela all’interno del
setting o quelle da lei descritte soddisfano i criteri del DSM-IV
relativi al disturbo istrionico di personalità (F60.4-301.50).
Le modalità
teatrali di Micaela, se da un lato possono rimandare ad una
operazione di ricerca di conferme del proprio ruolo, dall’altro
fanno anche emergere alcune caratteristiche che non sembrano
rispondere unicamente a tale necessità.
G-Micaela non
accetta alcuna “interferenza” o interruzione nei suoi racconti, si
mantiene su un registro emotivo estremamente superficiale e labile,
fa sovente riferimento - sia in veste femminile che maschile - all’
aspetto fisico ed alle proprie capacità di seduzione, drammatizza le
espressioni emotive anche relativamente alle relazioni che vive con
partner occasionali, esagerando le situazioni di intimità.
Il “problema
dell’identità”
Si pone a questo
punto una serie di interrogativi e di riflessioni rispetto alla
condotta e all’identità di questo paziente.
Un aspetto
interessante è sicuramente costituito dal passaggio dalla parafilia
(feticismo di travestimento) a qualcosa che rimanda al “problema
dell’identità”, e che non può limitarsi alla sola definizione
descrittiva di disforia di genere.
E’ a nostro
parere utile interrogarsi su quali meccanismi possano collegare le
due aree.
Sicuramente la
prima fonte di eccitazione per G è data dalla fascinazione
esercitata dall’abbigliamento femminile, a cui viene attribuita una
capacità incontrastata di attrarre, eccitare, sedurre, manipolare e
vincolare. Se in un primo momento chi sperimenta tali sensazioni è
unicamente lo stesso G, successivamente prevale il desiderio non
solo di fare queste esperienze ma di personificarle, quindi di
mettere al servizio di questo oggetto “numinoso”, sé stesso, il
proprio corpo, le risorse relazionali e sociali.
Questo sembra in
qualche modo comportare il sacrificio di una parte del Sé autonoma e
profonda, forse più autentica, ma legata a dolorose esperienze di
separazione e di perdita, che facevano effettivamente parte del
passato di G, ma a cui in seduta veniva accennato solo di sfuggita.
Il nuovo
personaggio – Micaela – eredita queste capacità onnipotenti.
Le sue fantasie
sono incentrate sulla erotizzazione di ogni relazione, confermando
in questo modo la possibilità di esercitare un controllo onnipotente
fondendosi con l’oggetto. G-Micaela verbalizza talvolta sensazioni
relative a precarietà e non autenticità di questa identificazione,
che lui stesso definisce come “una carnevalata” (sic).
Al tempo stesso,
nessuna delle due possibili facce riesce più ad essere sentita come
autentica e completa Sia la “forma” maschile che quella femminile
hanno difficoltà a trovare un contenimento all’altezza della propria
presunta onnipotenza.
Un ulteriore
prezzo da pagare per questa identificazione è quello della
solitudine interna, anch’ essa presente sia in G sia in Micaela.
Dai racconti, le
relazioni con le altre persone sono svuotate, congelate, apparenti,
prive di profondità affettiva.
“Personificare”
un tipo particolare di immagine, “la donna fatale”, il “travestito”
al di fuori delle regole, il “maschio dominante”, ha offerto a G la
possibilità di ricevere cure ed attenzioni da parte delle altre
persone, che divengono importanti a seconda di quanto possono
mettersi al servizio di quell’immagine, divenirne complici e quindi
in qualche modo esserne dominati al pari di G.
La complicità con
l’immagine non rimanda tanto – o solo - ad un rapporto di
confidenza, quanto piuttosto al divenire parte di un gioco di
inganni, di finzioni ed apparenze tipiche della relazione perversa.
La disforia di genere, in questo caso, sottende quindi la
possibilità di mantenere la finzione ed estenderla, includervi altre
persone, creare “adepti”.
A questo punto è
possibile delineare un profilo del funzionamento di G relativamente
all’identità di genere e di ruolo, alla meta e al desiderio sessuale
(Baldaro Verde, 1996).
L’identità di
genere è confusa, non corrispondente al sesso biologico ma neanche
opposta ad esso. L’identità di ruolo è divisa tra due istanze
corrispondenti a modelli sociali marcatamente differenti ma in
qualche modo complementari; l’uomo dominante e la femmina
seduttrice.
Va aggiunto che
l’assunzione di ruolo, nell’uno e nell’altro caso, è congeniale al
mantenimento della relazione con l’oggetto feticcio.
Quest’ultima è
la reale meta del soggetto; il desiderio sessuale cede il posto al
bisogno di disporre dell’oggetto e del suo potere. La via regia è
offerta dal poter diventare tutt’uno con l’oggetto. Abbiamo
utilizzato il termine personificazione poiché rimanda al significato
primigenio di “persona” intesa come maschera o personaggio teatrale.
In questa
prospettiva, il “travestito” o la “cortigiana”, in virtù delle
proprie arti e capacità, sono coloro che esercitano un potere di
seduzione illimitato, idealmente non soggetto a vincoli o
restrizioni, immune da qualsiasi possibilità di abbandono.
Questa visione
mitizzata è inoltre spesso socialmente condivisa e permette quindi
l’estensione della finzione e il coinvolgimento in essa di nuovi
attori.
In questo senso,
la paura del ridicolo può essere letta come paura di non essere
credibile come “travestito” o come prostituta, più che come maschio
o come femmina, con la possibilità di ritrovarsi nuovamente soli e
senza identità.
Questo timore
rimanda ad una angoscia primitiva, che ha a che fare con la
sperimentazione di un abbandono traumatico in età precoce, con la
disintegrazione, la follia e la morte.
E’ a questo punto
opportuno porre l’attenzione sulla problematica allargata
dell’identità prima ancora che sull’identità di genere.
Nel caso trattato il problema dell’identità
di genere sembra porsi successivamente rispetto ad un problema
preesistente di identità di sé e di strutturazione di un falso Sé.
L’autenticità
stessa dell’individuo è in questo caso in discussione; è utile
domandarsi se il tentativo messo in atto da G non fosse mirato a
ricostituire un equilibrio compromesso in età precoce attraverso
modalità patologiche. Al tempo stesso, la rinuncia a sé e il
congelamento emotivo sembrano rimandare alla rottura traumatica di
un legame affettivo e alla necessità di ricrearlo a qualunque costo.
I costi, in
questo caso sono rappresentati dalla soppressione di G a favore di
Micaela e dalla rottura dei legami sia con il passato sia con una
parte consistente del presente in cui si situano tutte le attività e
relazioni “normali” di G.
Micaela non ha
alcun interesse per ciò che è o è stato G, non ricostruisce alcuna
continuità tra gli eventi passati e lo stato attuale; pur non
essendoci una vera e propria personalità multipla, sembra che una
separazione netta, anche solo apparente, tra G e Micaela sia
necessaria all’equilibrio interno.
Riflessioni conclusive
Tra gli spunti di
riflessione che questo caso ci ha offerto, può essere utile
sottolinearne alcuni che, a nostro parere, permettono di allargare
la prospettiva relativa all’identità sessuale.
Le problematiche
di G rimarcano ancora una volta la necessità di considerare
l’identità sessuale profondamente inserita nei processi di
individuazione e separazione che sono alla base del percorso di
vita.
Al tempo stesso,
tali processi non possono essere scissi da una cornice relazionale,
e quindi da costruzione, investimento e rottura dei legami affettivi
che costituiscono la condizione indispensabile per la sopravvivenza
psichica.
Inoltre, sul
versante della pratica, è da evidenziare come la varietà degli
strumenti di indagine e approfondimento e la possibilità di
usufruire di un quadro di riferimento teorico ampio siano condizioni
indispensabili sia per la valutazione, sia per il successivo
trattamento. Per questo motivo l’approccio descrittivo e l’indagine
delle dinamiche relazionali devono più che mai coesistere.
Un’ultima
considerazione riguarda il problema della costituzione di
un’identità “come se”, verosimile ma non autentica, e la tematica
dell’inganno con cui, in veste di clinici, siamo sovente chiamati a
confrontarci, nelle parafilie così come nelle numerose forme di
relazioni perverse che possono esplicarsi anche al di fuori del
comportamento sessuale.
Tali relazioni
sono sovente ritenute preferibili ad una condizione di non
esistenza, all’assenza di identità, ma necessitano dell’inganno per
non svelare la profonda ferita ed il senso di vuoto che accompagnano
l’individuo.
E’ interessante
notare come anche in questo caso, e forse qui in modo palese ed
eclatante, una relazione perversa si sia TRAVESTITA per diventare
qualche cosa di accettabile.
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